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Napoli, orrore in cantina: cane morto di stenti. Denunciata un’operatrice sanitaria

Il ritrovamento shock tra San Giovanni e Barra. Due animali rinchiusi senza acqua né cibo. Il caso riapre il dibattito sull’applicazione effettiva della Legge Brambilla.

Napoli, luglio 2025 – Un caso che ha sconvolto l’opinione pubblica e rilanciato il dibattito sulla tutela degli animali in Italia. Due cani sono stati trovati rinchiusi in una cantina nella zona tra San Giovanni a Teduccio e Barra. Il primo era già morto, ucciso lentamente dalla fame e dalla sete. Il secondo è stato salvato all’ultimo momento, in condizioni gravissime. Ridotto a pelle e ossa, sopravvive solo grazie all’intervento tempestivo delle autorità.

Il ritrovamento

La segnalazione è arrivata da alcuni residenti della zona, preoccupati per strani odori e rumori provenienti dal piano interrato di una palazzina popolare. Una squadra mista composta da Polizia di Stato, Polizia Veterinaria e personale dell’ASL Napoli 1 si è recata sul posto per un sopralluogo. All’interno di una cantina, hanno trovato due cani abbandonati: uno senza vita, l’altro ancora cosciente ma in condizioni disperate.

L’ambiente era sporco, chiuso, soffocante. I cani non avevano accesso a cibo né ad acqua. Nessun sistema di aerazione, nessuna possibilità di uscita. Una prigione silenziosa trasformata in tomba.

Chi è la persona denunciata

Secondo quanto emerso dalle prime indagini, la persona responsabile dell’abbandono sarebbe una giovane operatrice sanitaria, residente in zona, impiegata in un servizio di ambulanze privato. La donna risulta già nota alle forze dell’ordine per altri episodi non meglio specificati.

Gli animali erano stati affidati a lei. Invece di occuparsene, avrebbe scelto di rinchiuderli deliberatamente in quello spazio angusto. Secondo alcune fonti locali, si tratterebbe di un gesto collegato a vendette personali. Non un errore, non una dimenticanza. Un’azione pianificata.

La donna è stata denunciata. Al momento non risulta alcun arresto né misura restrittiva a suo carico. Le forze dell’ordine hanno acquisito documentazione fotografica e raccolto testimonianze sul posto. La posizione della donna è ora al vaglio degli inquirenti.

La sopravvivenza del secondo cane

Il cane superstite è stato immediatamente preso in carico dai veterinari dell’ASL. Soffre di grave disidratazione, denutrizione, infezioni e lesioni da immobilità. I medici non escludono conseguenze permanenti, ma al momento l’animale è fuori pericolo.

Il suo corpo, segnato dalla sofferenza, è diventato il simbolo vivente di ciò che molti continuano a subire in silenzio.

Il contesto: una legge c’è, ma funziona?

Negli ultimi anni, l’Italia ha fatto passi avanti importanti nella normativa per la tutela animale. La più recente è la cosiddetta Legge Brambilla, approvata nel 2025, che rappresenta una svolta nel codice penale. Con questa legge, l’uccisione di un animale non è più considerata un semplice reato contro il “sentimento umano”, ma un vero delitto contro la vita animale in sé.

Il testo della legge prevede pene più severe: fino a quattro anni di reclusione e sessantamila euro di multa per chi uccide con crudeltà. Fino a due anni per chi maltratta, abbandona o sottopone l’animale a gravi sofferenze. Sono previste anche misure interdittive, come il divieto di possedere animali o esercitare professioni che implichino il loro contatto. Le associazioni riconosciute possono costituirsi parte civile. È un quadro normativo importante. Ma resta la domanda: viene davvero applicato?

Con e senza la Legge Brambilla: cosa sarebbe cambiato

Prima della Legge Brambilla, situazioni come quella avvenuta a Napoli finivano spesso con poco o nulla. Il reato veniva derubricato a illecito minore. Le pene, quando venivano emesse, erano blande. Nessuna custodia cautelare, nessuna interdizione. Nella maggior parte dei casi, la persona denunciata tornava alla propria vita senza alcuna reale conseguenza.

Oggi, con la nuova legge in vigore, c’è la possibilità concreta di perseguire il reato come uccisione volontaria di un animale con crudeltà. I maltrattamenti, l’omissione di soccorso, l’abbandono intenzionale in condizioni incompatibili con la sopravvivenza possono portare a una condanna vera, con pene detentive, sanzioni pecuniarie e limitazioni dei diritti civili.

Ma questo cambiamento, per diventare reale, ha bisogno di un’azione collettiva. Serve la denuncia tempestiva, la raccolta delle prove, l’impegno degli avvocati, la pressione pubblica. La legge c’è. Ma se resta nei cassetti, non salva nessuno.

L’indignazione sociale

Sui social migliaia di cittadini stanno chiedendo giustizia. In tantissimi hanno commentato la notizia condivisa da media e attivisti, esprimendo dolore, rabbia e un senso crescente di sfiducia nelle istituzioni. C’è chi chiede la radiazione della donna da ogni incarico sanitario. Chi pretende il carcere. Chi invoca pene esemplari, non solo per lei, ma per tutti coloro che ogni giorno infliggono dolore agli animali senza pagarne il prezzo.

I commenti più ricorrenti hanno un messaggio comune: non basta dire che “qualcosa è cambiato”. Deve cambiare davvero.


Conclusione

Il caso della cantina di Napoli è l’ennesima prova che la crudeltà può agire nel silenzio se non trova ostacoli. Ma è anche la prova che qualcosa può cambiare, se la voce delle persone perbene non si spegne. La Legge Brambilla esiste. Ma va fatta valere. Ogni volta che un essere vivente viene lasciato morire così, abbiamo il dovere di gridarlo. Perché solo facendo rumore, la giustizia smette di essere teoria.

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